V come Virale

V come Virale

Il Treccani definisce l’aggettivo virale come un derivato di virus, termine del lessico medico adottato anche in ambito informatico.  Il dizionario aggiunge però un’estensione del termine che è diventata di uso comune:

che si diffonde in modo rapido e capillare (sul modello dell’inglese viral): diffusione virale, marketing virale, pubblicità virale, video virale.

È solo dal 2014 che il concetto di viralità ha assunto questa nuova connotazione. Un battito di ciglia per il mondo linguistico, un’era geologica nella infosfera.

Virus

Lasciamo che sia un’esperta come Ilaria Capua (Il dopo. Il virus che ci ha costretto a cambiare mappa mentale.) a raccontarci la sostanziale differenza

Negli ultimi anni, però, «virale» è uscito dall’ambito medico-biologico per entrare nel linguaggio comune. Dobbiamo questo «spillover di settore» ai nuovi media, che hanno aumentato la potenziale velocità di propagazione di video, articoli, informazioni e così via. Si dice di un contenuto che è «virale» quando si è propagato molto velocemente e in maniera capillare, raggiungendo in brevissimo tempo milioni di utenti. In questo senso, «virale» non è più un aggettivo fermo, ma dinamico. Anzi, superdinamico.

[…]

Non tutti i virus sono virali. Alcuni lo sono: è il caso del morbillo, che è molto contagioso (ha un R0 di 15-17). Altri, però, si possono fermare: la MERS ha un tasso di letalità altissimo ma un R0 inferiore a 1, quindi non si diffonde facilmente. Come sappiamo, l’R0 del SARS-CoV-2 non è ancora noto, ma possiamo dirci relativamente certi che non sia «virale» tanto quanto lo sarebbe il morbillo, se non fosse sotto controllo.

Siamo passati da una qualità di “genere” (o sei un virus o non lo sei, a dispetto del fatto che ti piaccia assumere antibiotici in ogni caso) a una qualità “trasversale” adatta a tanti “generi” diversi. È, come dice Ilaria Capua, un salto di specie, il tanto temuto spillover.

C’è una intera popolazione di professionisti che hanno costruito una carriera su questo vocabolo. Chissà se poi passerà di moda, anche solo per un rigetto dopo la pandemia in corso.

Personalmente, se penso a un messaggio virale, preferisco ricordare la storia dei Rockin’1000 e dei Foo Fighters. Un segnale di gioia e speranza, un mettersi in gioco per trasformare i sogni in realtà. Qualcosa che (non solo in questo periodo) fa sempre bene.

PS: Anche un film sui Rockin’1000?!?! Bellissimo!

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