Recensione in un tweet: The Game (A.Baricco)

Recensione in un tweet: The Game (A.Baricco)

Descrizione:

Prima scena. Calciobalilla, flipper, videogioco. Prendetevi mezz’ora e passate dall’uno all’altro, in quest’ordine. Pensavate di giocare, invece avete attraversato lo spazio che separa una civiltà, quella analogica, da un’altra, quella digitale. Siete migrati in un mondo nuovo: leggero, veloce, immateriale.
Seconda scena. Prendete l’icona che per secoli ha racchiuso in sé il senso della nostra civiltà: uomo-spada-cavallo. Confrontatela con questa: uomo-tastiera-schermo. E avrete di fronte agli occhi la mutazione in atto. Un sisma che ha ridisegnato la postura di noi umani in modo spettacolare.
«Qualsiasi cosa si pensi del Game, è un pensiero inutile se non parte dalla premessa che il Game è la nostra assicurazione contro l’incubo del Novecento. La sua strategia ha funzionato, oggi le condizioni perché una tragedia come quella si ripeta sono state smantellate. Ormai ci siamo abituati, ma non va mai dimenticato che c’è stato un tempo in cui, per un risultato del genere, avremmo dato qualsiasi cosa. Oggi, se ci chiedono in cambio di lasciare la nostra mail ci innervosiamo».

Le citazioni:

Rivoluzione digitale: invece che generare molti mondi belli e diversi, investi il tuo tempo a inventare un unico ambiente in cui si possano versare tutti i mondi che ci sono. Lo dico in altri termini: non perdere tempo a mettere a punto cose che non possono avere un grande sviluppo; piuttosto cerca di inventare cose il cui sviluppo è infinito perché sono state pensate per contenere TUTTO.

La cosa stupefacente è che continuano a essere in grado di farlo adesso che i siti sono piú di un miliardo e duecento milioni. Volendo usare una metafora cinquecentesca, se i browser ti procuravano i velieri per viaggiare nel grande mare del Web, se i portali come Yahoo! ti suggerivano rotte e pericoli, quei due trovarono in un colpo il sistema per calcolare longitudine e latitudine, e misero al servizio di qualsiasi navigatore un mappamondo in cui c’erano tutti i porti del pianeta, ordinati per importanza, confortevolezza e vocazione commerciale. Erano in grado di dirti quelli in cui si mangiava meglio, quelli in cui il prezzo del pepe era il piú basso, e quelli in cui i bordelli erano i migliori. Non vi stupirà sapere che attualmente il loro brand, Google, è il piú influente al mondo [qualsiasi cosa voglia dire].

Per adesso mi limito a evidenziare un effetto, di enorme portata, che il desiderio di presa diretta sul mondo ha generato: il tramonto dei sacerdoti.

Se hai scoperto di poter allegramente fare a meno del tuo agente di viaggio, perché non iniziare a pensare di fare fuori il medico di famiglia?

Infatti si dice spedire una mail con Internet (io resto qua, lei viaggia) ma si dice navigare sul Web (sono io che mi muovo, non il mondo che si sposta). È una differenza che significa moltissimo in termini di modelli mentali e di percezione di sé stessi. Tutta la rivoluzione digitale, come abbiamo imparato, aveva questo pallino di sciogliere il mondo in frammenti leggeri, veloci, nomadi, ma è facile comprendere come il Web abbia alzato enormemente la posta in gioco: non si limitava a smaterializzare le cose, smaterializzava gli umani! Tecnicamente non faceva che far viaggiare pacchetti di dati digitali, ma a livello di sensazioni, di impressioni, quello che faceva è rendere noi leggeri, veloci, nomadi: come quei dati. Bastava spegnere il computer e si tornava ad essere i pachidermi di prima,

In quel momento, e in quel posto, su dieci che volevano rivoltare il tavolo, cinque sfilavano contro la guerra del Vietnam, tre si ritiravano a vivere in una comune e due passavano le notti nei dipartimenti di informatica a inventare videogame. In questo libro stiamo cercando di capire cosa hanno combinato gli ultimi due.

Stewart Brand. La riassunse con tre righe che non a caso dovrebbero figurare in epigrafe a questo libro. «Molte persone provano a cambiare la natura degli umani, ma è davvero una perdita di tempo. Non puoi cambiare la natura degli umani; quello che puoi fare è cambiare gli strumenti che usano, cambiare le tecniche. Allora, cambierai la civiltà».

Era DIVERTENTE il telefono con la cornetta e il disco coi numeri? No. Era DIVERTENTE il telefono pubblico nelle cabine? No. Era DIVERTENTE il BlackBerry? Mica tanto. Erano tutti tool che risolvevano dei problemi, ma nessuno aveva immaginato che dovessero anche farlo IN MODO DIVERTENTE, per cui non lo facevano in modo divertente. L’iPhone sí. Ed è la cosa che ossessivamente Jobs cerca di comunicare parlando. STA DICENDO CHE È UN GIOCO. Ecco il fossile.

Rifiutare la profondità come luogo dell’autentico e collocare in superficie il cuore del mondo. Le icone delle schermate d’apertura di computer e smartphone si misero a ricordare ogni giorno che l’essenza dei gesti che facevamo poteva essere disseppellita dalle profondità illusorie dove caste di sacerdoti le custodivano e riportata in superficie nella forma di allegre icone chiamate a galleggiare alla luce del sole. Se imparavi una cosa del genere da tool che usavi decine di volte al giorno, finivi per assumerla come una possibile strategia di vita. Magari non l’unica, ma certo una delle migliori in circolazione. La cosa era clamorosa e spegneva secoli di geografia dell’esperienza, ricostruendo da capo l’arte di vivere scegliendo nella superficialità il suo laboratorio ideale.

Capite che il nome App era perfetto. È quasi onomatopeico, tipo bomba, o ticchettio. Da quando i programmi sono diventati App abbiamo iniziato ad amarli, a usarli, a fidarci di loro, e a giocare con loro. Sono diventati, per cosí dire, animali domestici: prima erano orchi. La cosa ha avuto una conseguenza che dobbiamo assolutamente registrare: con le App abbiamo aperto una quantità immensa di porticine per l’oltremondo. Quello che un tempo sapeva fare praticamente solo il Web (farci entrare nell’oltremondo), adesso lo fanno anche milioni di App che non necessariamente hanno a che fare col Web.

2011 è anche l’anno in cui si verifica un curioso, e a suo modo cruciale, sorpasso. Non ho la minima idea di come facciamo a saperlo ma è l’anno in cui l’uso delle App ha superato quello del Web. Sarò piú preciso: da quell’anno, quando abbiamo uno smartphone in mano, clicchiamo piú spesso sull’icona di un’App che su quella del browser che ci fa entrare nel Web. Al professor Berners-Lee, la cosa non sarà sicuramente piaciuta. Non tanto per il sorpasso in sé, quanto per il fatto che lui sognava l’oltremondo come spazio aperto, di proprietà di nessuno, in cui gli umani si scambiavano tutto ciò che possedevano. Le App non sono esattamente questo: sono di proprietà di qualcuno, e non sono uno spazio aperto, ma degli hangar, magari immani ma chiusi, in cui uno entra per avere un certo servizio e poi se ne torna nella sua tana. La differenza la capite. Volendo è un sintomo, tra altri, di una sorta di allegra degenerazione del Game: un lento scivolare lontano dalle sue spinte utopiche originarie. Ma è un’osservazione su cui metto in guardia il lettore: la possibilità che sia un’analisi moralistica, consolatoria e novecentesca è piuttosto alta.

Quando l’individualismo diventa di massa, la prima cosa che entra in crisi è il concetto stesso di massa. Non esistono piú, voglio dire, delle placche sociali che si muovono in quanto placche, come grandi sovra-individualità tenute insieme da una certa appartenenza: che so, i cattolici, gli inglesi, gli amanti di musica pop, i comunisti. Erano, in passato, animaloni che si muovevano di un movimento quasi impersonale, impresso dalla mansueta appartenenza di molti a una comunità, e controllato da un’élite capace di mano ferma e guida sicura. Nel Game questo tipo di movimento si è fatto raro perché l’individualismo di massa genera milioni di micro movimenti e smantella il mestiere delle guide.

Prendete una cosa, anche solo una, ma centrale: l’uso che fanno, o non fanno, dell’ideologia. I senatori si presentano con un certo corredo ideologico, Zuckerberg no. I senatori hanno il problema di far funzionare la realtà alla luce di alcuni principî ideali, Zuckerberg ha il problema di far funzionare la realtà, punto. Vuole connettere gente, e in effetti gli spiace se la cosa poi crea dei guai. I suoi tecnici provvederanno. Non si aspetta che i governi ci possano fare qualcosa, ma se, nel caso, hanno qualche suggerimento utile, perché no. Fine. È il laicismo – totale, senza rimedio, talvolta spaventoso – dei padri del Game.

Il fatto che la Rete bene o male ti faccia arrivare solo le notizie che vuoi leggere, e che ti rafforzano nelle tue convinzioni, è un cosa che può davvero temere gente che ha conosciuto le parrocchie, le sezioni di partito, il Rotary, il telegiornale di quando non c’era la Rete e i giornali degli anni ’60?

Mi verrebbe da dire che il Game HA MODIFICATO IL DESIGN DELLA VERITÀ. Non l’ha dispersa, non ne ha cambiato la funzione, non l’ha spostata dal posto in cui era, cioè al centro del mondo: quel che ha fatto è darle un diverso design. Non dovete pensare a un dettaglio estetico, prendete il termine design nella sua accezione piú alta. Il Game ha toccato il disegno interno, logico, funzionale della verità. Ha fatto alla verità quello che Jobs ha fatto al telefono, per cosí dire.

La verità-veloce è una verità che per salire alla superficie del mondo – cioè per diventare comprensibile ai piú e per essere rilevata dall’attenzione della gente – si ridisegna in modo aerodinamico perdendo per strada esattezza e precisione e guadagnando però in sintesi e velocità.

SFILATE VIA DALLA REALTÀ I FATTI E QUEL CHE RESTA È STORYTELLING.

STORYTELLING È IL NOME CHE DIAMO A QUALSIASI DESIGN CAPACE DI DARE A UN FATTO IL PROFILO AERODINAMICO NECESSARIO PER METTERSI IN MOVIMENTO.

La valutazione in un tweet:

Alcuni lampi da soli valgono la lettura, e per fortuna fanno dimenticare l'uso del maiuscolo modello bimbominkia - Recensione #libro The Game (A.Baricco) Condividi il Tweet

I dati del libro:

Titolo: The Game

Autore: Alessandro Baricco

Editore: Einaudi

Numero di pagine: 325

Anno di pubblicazione: 2018

Genere: saggio

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