NEXT – Il prossimo passo – La distanza iniziale
IL CIGNO NERO
L’assenza regnava nella stanza, un vuoto apparso all’improvviso come un ospite inatteso e sgradito.
Gli apparati digitali si erano fermati solo da pochi istanti e alla donna nell’ufficio già sembrava passata un’eternità.
La consuetudine ad avere sempre e comunque accesso al mondo non l’aveva preparata alla sensazione d’isolamento e solitudine che percepiva a fior di pelle. Gli schermi desolatamente neri dello smartphone e del tablet, ormai suoi unici utensili, rimanevano indifferenti alle sempre più convulse sollecitazioni delle dita, curate alla perfezione.
Gettò uno sguardo fuori dalle vetrate che delimitavano la sua transitoria balena. Uno sparviero si lanciò in una rapida planata. Il tordo nascosto tra gli alberi sottostanti cercò la fuga, inutilmente. Il mondo proseguiva la sua corsa come se niente fosse.
La donna si alzò dalla sedia e raggiunse il corridoio. La commedia umana si ripeteva a tutte le scrivanie. Sguardi sconfortati si incrociavano, in tutti la medesima domanda e la medesima risposta. Le proposero un caffè. Lo rifiutò. Qualcuno andò verso i bagni, mentre molti approfittavano dell’impossibilità di lavorare per concedersi uno spuntino veloce.
Ritornò nel proprio ufficio ticchettando nervosa. Doveva autorizzare subito quell’ordine!
In quel momento, lo smartphone si scosse con un bip tremolante. Sotto lo sguardo preoccupato della proprietaria, anche il tablet si avviò ronzando.
Su entrambi i dispositivi si compose il logo della Hyper Communications Enterprise, due linee verticali bianche su sfondo nero. Un serpente rosso sgargiante ruotò per lo schermo fino a posizionarsi al centro. Il simbolo familiare tranquillizzò la donna, che attese, con rinnovata fiducia nella tecnologia, i pochi secondi necessari per riconnettersi al proprio mondo.
Il tablet completò le consuete fasi d’avvio in pochi istanti, ma le sue dita non divennero padrone dell’apparato. Nemmeno lo smartphone, risorto nel frattempo, accettò i suoi comandi. Mentre si domandava che fare, sui due schermi partì automaticamente un filmato che le dita allenate non riuscirono a bloccare, zittire, disinnescare.
Una figura femminile iniziò a raccontare una storia.
Mentre l’attenzione della donna veniva catturata dalle parole narrate sugli schermi, il suo battito accelerò.
ALCUNI MESI PRIMA…
Il silenzio della vita quotidiana venne infranto da una suoneria. La musichetta, presa dall’ultimo dozzinale jingle, uscì dal bar e rimbalzò sulle pareti della piazza per finire, attutita e distorta, nella monotona colonna sonora dei passanti.
«Cosa c’è?» chiese dal bar una voce subito strozzata. Seguirono colpi di tosse, singhiozzi e il fitto snocciolare delle conoscenze popolari atte a salvare il malcapitato dall’infido dolce che stava trangugiando.
«Se non hai il fisico adatto, evita di mangiare e rispondere contemporaneamente. Ti hanno fatto una sola bocca, e già quella è di troppo!» sentenziò Dino da dietro il bancone.
«Asp… Umf! Ch… Umpft…» cercò di continuare la telefonata Francesco, proprietario, in ordine, della voce, del telefono e della pasta incriminata.
«Risponde la segreteria telefonica di Francesco Villa. Non lasciate un messaggio perché tanto non arriverà a domani! Bip!» declamò il barista strappando il telefono dalle mani dell’avventore, ormai in avanzato stato di soffocamento. Chiusa la chiamata, scagliò l’apparecchio in un cestino di vimini, a far compagnia a tanti suoi simili. Nel suo bar, l’educazione continuava ad avere la meglio sull’invasione dei “telefonini”, come ancora li chiamava, ed era severamente vietato disturbare i presenti con suonerie invadenti o telefonate inopportune.
Francesco, che si stava riprendendo dal temibile incrocio pasta-telefonata, guardò l’ennesimo cellulare andare a canestro. Aveva scordato di inserire la vibrazione e l’istinto tecnologico l’aveva fatto finire di nuovo dietro la lavagna. Da buon recidivo, sapeva quello che doveva fare. Tossendo, terminò il caffè e quel che rimaneva della pasta, si voltò verso Dino e implorò.
«Mi passi il telefono? Per favore…»
Come habitué poteva evitare la strizzata nella tipica cabina pubblica ricostruita nell’angolo del bar. Il prezzo da pagare era la totale mancanza di privacy: un fiorire di commenti prima, dopo e durante la chiamata.
Dino appoggiò sul bancone un pesante reperto storico in bachelite nera.
«Muoviti a telefonare alla mamma, che dopo ti passo anche il secchio e lo spazzolone. Non avendo la bellezza, almeno impari qualcosa di utile per farti sposare!»
La risata fragorosa dei presenti richiamò nel bar i pensionati che transitavano nella piazza in cerca di un’occupazione fino a sera. Anche il parroco, che usava lo spazio intorno alla chiesa come sala prove per l’omelia domenicale, infilò il corpo tondeggiante nel bar, forma alternativa di sacrestia.
A capo chino, per non far vedere che stava ridendo sotto i baffi, Francesco sollevò la cornetta e iniziò a ruotare il vecchio disco combinatore.
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© 2016 by Ferruccio Manclossi
© 2016 by Genesis Publishing, Soroni, Rodi.