Non perdetevi i bambini!

Non perdetevi i bambini!

Coney Island, 1922

«Buongiorno, dottor Couney!»

L’elegante figura si fermò. Portava una bombetta, un vestito scuro di lana pettinata e le ghette, e faceva ondeggiare un bastone da passeggio. In quel crogiolo di stranezze e illusioni che era Coney Island, spiccava come un pinguino all’equatore.

«Buongiorno, Archie. Sempre bella la vista da lassù?»

Il giovanotto sorrise. In effetti, il mondo sembrava davvero più gradevole dall’alto dei suoi trampoli. «Meraviglioso, Mr Couney, come al solito.»

In verità l’acrobata odiava quel lavoro, ma doveva pur mangiare mentre cercava di farsi strada verso Broadway. Per il momento, però, purtroppo gli unici a farsi strada erano gli spettatori che invitava a divertirsi con le attrazioni offerte dalla penisola a sud di Brooklyn.

Martin Couney si sfiorò il cappello per prendere congedo, e gli strilloni risposero con il messaggio per cui erano pagati: «Non perdetevi i bambini!».

Il dottore aveva fatto solo pochi passi quando un uomo gli si parò davanti.

«Mi perdoni, Mr Couney, posso farle vedere una cosa?» Così dicendo gli mise sotto il naso una cappelliera. «È una faccenda personale.»

«Grazie, grazie, scusi, non voglio acquistare nulla.»

Non ne poteva più dei venditori ambulanti che gremivano Coney Island a ogni ora, attratti come falene dal folto pubblico e dall’aria di festa, combinazione perfetta per gli affari. Agitò una mano, come per scacciare una mosca fastidiosa. Seppure curvo, dava un’impressione di solidità che nessuno osava sfidare. Il giovanotto si fece da parte in silenzio, la cappelliera sempre a mezz’aria.

Martin Couney si addentrò verso Sea Gate, la punta estrema della penisola. Era ormai di casa tra quei fenomeni da baraccone. D’altro canto, non era forse anche lui uno di loro?

dreamland freak showFin da quando aveva fatto l’internato all’Hôpital de l’Enfant-Jésus di Parigi, si era appassionato alla pediatria. Durante una visita al Jardin d’Acclimatation dello zoo di Parigi nel 1878, Stéphane Tarnier aveva pensato che si potesse fare con i prematuri ciò che si faceva con alcuni cuccioli. L’incubatrice, una scatola ventilata e calda, aveva visto la luce all’Hôpital de la Maternité di Parigi nel 1878, e Pierre Budin, il mentore di Couney, l’aveva perfezionata.

Il medico ripensò con un pizzico di nostalgia al momento in cui si era fatto carico della presentazione del nuovo modello all’Esposizione Mondiale di Berlino. Correva il 1896. Quanto tempo era già passato! Aveva portato alla fiera sei incubatrici e un gruppo di infermiere specializzate, e là, tra la ricostruzione di un tipico villaggio del Congo e la pedana dei cantanti di jodler tirolesi, aveva creato il primo “vivaio di bambini”. Era stato un trionfo. Sulle ali dell’entusiasmo, avevano replicato con il medesimo successo a Londra, all’Esposizione Trans-Mississippi nel Nebraska, all’Esposizione di Parigi del 1900 e a quella panamericana di Buffalo del 1901.

Esposizione panamericana del 1901
Esposizione panamericana del 1901

A pensarci bene, era stato in mezzo a personaggi particolari fin dall’inizio. Quel mondo lo affascinava e, senza alcuna remora, nel 1903 aveva deciso di creare una base a Coney Island con un’esposizione estiva permanente, un’oasi che non disdegnava la compagnia di Violetta la donna senza gambe, Ajax il mangiatore di spade e Omar Sami l’ipnotizzatore, ma neppure quella dell’ottovolante e dell’incredibile ruota panoramica. Erano trascorsi quasi vent’anni.

Coney Island incubator exhibit Coney IslandSuperò la fila delle persone in attesa. Qualcuno provò a protestare, ma fu subito zittito.

«Guarda che quello è il Dottor Couney!», sussurrò una ragazza all’ammasso di testosterone che le stava accanto. Il ragazzo, già scocciato perché aveva dovuto pagare due biglietti da un quarto di dollaro per vedere un’attrazione che gli faceva venire in mente il pollame, si tappò la bocca per non compromettere il resto della giornata.

Sopra l’ingresso del palazzo campeggiava uno striscione: TUTTI AMANO I BAMBINI. Quello che dieci anni più tardi sarebbe diventato il simbolo dell’American Academy of Pediatrics, il bambino di Andrea della Robbia, era presente su molte decorazioni dell’ampio salone interno.

Uno dei bassorilievi in terracotta policroma invetriata scolpiti da Andrea Della Robbia
Uno dei bassorilievi in terracotta policroma invetriata scolpiti da Andrea Della Robbia

Eccomi, finalmente, pensò Couney. L’odore di frittura, i rumori del tiro a segno, lo sferragliare delle montagne russe, sparì tutto quanto.

«Per prenderci cura dei nostri piccoli angeli dobbiamo tenere in considerazione tre punti fondamentali: la temperatura, l’alimentazione e le malattie, cui sono particolarmente sensibili.»

La voce di Louise Recht, l’infermiera che aveva seguito il suo peregrinare per il mondo, stava intrattenendo alcuni visitatori con la relazione presentata da Budin all’Académie Impériale de Médecine nel 1895. Erano passati quasi trent’anni, eppure da questa parte dell’Atlantico le pratiche necessarie alla cura dei bambini con debolezza congenita erano ancora poco conosciute. Per fortuna il suo lavoro era noto e apprezzato tra i medici e le ostetriche della zona di New York, che gli mandavano i loro piccolissimi pazienti.

Madame Louise Recht con uno dei neonati
Madame Louise Recht con uno dei neonati

«Dottor Couney, se ha un po’ di tempo da dedicarci, vorrebbe descrivere la sua invenzione ai nostri visitatori?» L’infermiera sapeva che al medico piaceva raccontare come funzionava quella strana macchina. Inoltre era un ottimo intrattenitore, al pari di molti che prosperavano a Coney Island.

L’uomo le consegnò la bombetta che teneva in mano e si posizionò di fianco a un’incubatrice vuota.

«Come ha giustamente fatto notare madame Recht, i piccoli corrono molti rischi. Questo dispositivo garantisce aria, calore e protezione a bambini che da soli non potrebbero sopravvivere. Lo si potrebbe definire una sorta di “madre meccanica”.»

Aperto uno scomparto, mostrò l’interno.

«Il calore è fornito da una caldaia a gas e regolato da un termostato. La temperatura all’interno viene mantenuta tra i 27 e i 32 gradi centigradi.»

Gli astanti annuirono soddisfatti.

«Riguardo all’aria. Consentitemi di dirvi che quasi tutti questi bambini soffrono di atelettasia congenita. In parole più semplici, i loro polmoni non sono ancora pienamente formati, ragion per cui non sono del tutto efficienti.»

I presenti saggiarono la propria capacità di respiro, alla ricerca di segnali allarmanti.

«L’aria comune per loro è troppo forte. Dobbiamo perciò aiutarli artificialmente. Vicino a ogni incubatrice c’è un anemometro, un disco che ruota come una girandola per segnalare il passaggio dell’aria, aspirata dall’esterno tramite un tubo posto a venti metri da terra.»

Couney lo indicò.

«L’aria viene quindi umidificata e filtrata. Entra nella base dell’incubatrice e viene riscaldata dal contatto con i tubi della caldaia. A questo punto, diluita con ossigeno, viene immessa nel reparto in cui si trova il bambino. Viene poi aggiunta tutta una serie di protezioni per evitare che un guasto o delle impurità possano arrecare danni all’ospite. La prima regola è non svantaggiarli ulteriormente, penso concorderete.»

«Certo, certo.»

«Ma nessuna di queste madri artificiali può salvare un bambino da sola. Servono persone preparate, come madame Recht, e occorre il latte materno, fornito da balie che seguono con scrupolo tutte le regole igieniche. Nonostante queste meraviglie, la scienza non ha ancora trovato un modo per sostituire del tutto una madre.»

Il gruppetto sorrise.

Dott.Couney (?) all'esposizione di Buffalo
Couney (?) all’esposizione di Buffalo

«Ora devo proprio scappare. Vi ringrazio per l’attenzione, e vi lascio alla nostra preparatissima madame Recht.»

Con quelle parole, il dottor Couney si accomiatò e l’infermiera passò a presentare alcuni dei piccoli ospiti.

«Questo è Paul», annunciò sollevando con delicatezza un piccolo. «Vi prego di notare il polso. Avete visto? È minuscolo!» Nel dirlo, infilò al polso del bambino l’anello che fino a un istante prima era stato sul suo dito.

«Ohhh.»

Capitava spesso che i visitatori, e in particolare le donne, si affezionassero a quei dolci bimbetti e tornassero più volte, così da seguirne i progressi. Martin Couney, dotato di uno spiccato senso degli affari, chiedeva al personale di stimolare la nascita di quelle relazioni, talvolta anche ricorrendo a trucchetti quali quello dell’anello formato maxi.

Fino a quel momento il vivaio era andato bene e i biglietti avevano ripagato sia la spesa d’acquisto del palazzo sia quelle di gestione.

Coney Island Incubators 1906

Il medico entrò nell’area riservata.

«Buongiorno, Hildegarde.»

La figlia, ormai quindicenne, aveva deciso di seguire le orme dei genitori diventando un’infermiera e dedicando la propria vita a quelle piccole creature. Anche lei, d’altro canto, aveva passato i primi tre mesi in un’incubatrice che suo padre aveva risvegliato dal letargo invernale.

Couney volse lo sguardo sui suoi collaboratori. Era molto orgoglioso della loro affidabilità e preparazione, una squadra di assoluta eccellenza nella cura dei bambini. Due medici passavano per le visite di controllo tre o quattro volte al giorno. Durante la notte, le infermiere alimentavano i piccoli ogni tre ore. Di giorno, la procedura continuava identica per i più piccoli, ancora non in grado di succhiare, mentre il compito di allattare i più grandicelli passava alle balie, che li attaccavano al seno ogni due ore.

Infermiere con bambini alla Fiera Mondiale di Flushing, NY. Al centro la figlia di Couney, Hildegarde
Infermiere con bambini alla Fiera Mondiale di Flushing, NY. Al centro la figlia di Couney, Hildegarde

«Dottor Couney, un giovane chiede il permesso di parlarle.»

«Motivo?»

«Non l’ha detto, ma è troppo agitato per essere un truffatore, un venditore o un giornalista.»

Da quando, nel 1911, i giornalisti del New York Times avevano dichiarato che sei piccoli ospiti erano morti nel terribile incendio del Dreamland (mai successo, grazie al cielo!), Couney aveva perso fiducia nella stampa. Pennivendoli! La rettifica, relegata in un articoletto poco visibile, non era bastata a riparare il danno, e ancora capitava che qualcuno chiedesse lumi sulla “tragedia”.

«Lo faccia entrare.»

Couney si stupì alla vista del giovane con la cappelliera.

«Ancora lei?»

«Mi scusi… ecco… volevo chiedere se…», balbettò l’uomo sottoponendo di nuovo alla sua attenzione la cappelliera, ora aperta.

Il dottore la prese, più per la voglia di liberarsi dall’intruso che per curiosità. Un essere piccolissimo, rosso come un peperone, si agitava sul fondo.

«Infermiera, presto!» Couney sollevò piano il piccolo dalla culla provvisoria e lo mise tra le braccia di Hildegarde. Il personale scattò, abituato a quel genere di evenienze.

«Lei è il padre, giusto? Come si chiama?», s’informò Couney, il tono di una tranquillità disarmante.

«Sì. Robert…» Di colpo, il giovane si rese conto che l’altro si riferiva alla piccola. «Oh, mi scusi. Mary Elizabeth. Mary Elizabeth Farmer.»

Un’infermiera aveva già lavato la neonata ed effettuato i controlli preliminari in attesa della visita del medico. «460 grammi. 26 centimetri. Nessun segno particolare.»

Nel frattempo, un’altra infermiera aveva preparato un’incubatrice, e una balia era pronta a intervenire.

Dopo essersi occupato della piccola, Couney tornò dal padre.

L’uomo era ancora più agitato di quando era arrivato. La piccola era chiaramente in buone mani; ora però doveva riuscire a farcela rimanere. «Dottore, la scongiuro, qualsiasi cosa per mia figlia. Non abbiamo molto, ma è tutto suo…»

«Stia tranquillo, signor Farmer. Noi non chiediamo soldi ai genitori. Mai presi e mai ne prenderemo. Le garantisco che faremo tutto il possibile per Mary Elizabeth. Purtroppo, però, ciò che non posso garantirle è la sua sopravvivenza. Non tutti si salvano. In compenso, le percentuali sono a nostro favore. Non ho mai avuto un reclamo né denunce. Però ci sono alcune condizioni. La prima, come può vedere, è che ci consenta di lasciare sua figlia in esposizione all’interno dell’incubatrice. Mi sembra una combattente e di sicuro attirerà un po’ di pubblico. Più gente paga, più risorse abbiamo per i piccoli.»

«Ma sicuro, non c’è problema, faccia pure.»

«La seconda, è che lei e la madre veniate a trovarla di frequente. E la terza è che, quando vi dirò che è pronta e potete riportarla a casa, lo facciate.»

«Ma certo, ci mancherebbe altro!» Davvero c’era qualcuno che “dimenticava” il figlio?!

«Capisco il suo stupore, ma sapesse quante volte succede…» Couney porse la mano per sigillare l’accordo.

dr-martin-couneyIl giovane restò a lungo a rimirare la figlia. Alla fine, provato dall’emozione, uscì profondendosi in nuovi ringraziamenti.

Una volta all’esterno, ricordò che doveva fare un’ultima cosa. A passo rapido e pieno di entusiasmo, raggiunse lo strillone sui trampoli.

«Signor Archibald Leach! La ringrazio davvero per il conforto e per avermi indicato dove trovare il medico. Ora è tutto a posto. Grazie, grazie ancora, anche dalla nostra piccola. E in bocca al lupo per Broadway!»

L’acrobata lo omaggiò di una giravolta. «Non perdetevi i bambini!»

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.