Come rappresentare i dati: gli attacchi dei droni

Come rappresentare i dati: gli attacchi dei droni

Si dice che un’immagine valga cento parole. In questo caso, un’opera d’arte vale migliaia di vite.

L’obiettivo è risvegliare in chi guarda l’empatia naturale che lega tutti gli esseri umani, e che quando ci si avvale della sola fredda analisi dei dati viene meno.

L’installazione si chiama Artificial Killing Machine.

Si tratta di un sistema meccanico autonomo che restituisce profondità ai dati relativi agli attacchi dei droni americani. Quando un drone colpisce, la macchina si attiva e spara dei proiettili di gomma tramite pistole giocattolo. Un’esplosione per ogni vittima.

Artificial Killing Machine by Jonathan Fletcher Moore
Artificial Killing Machine by Jonathan Fletcher Moore (2015)

Il dato, freddo e inumano, viene stampato su carta e lascia una traccia fisica dell’accaduto.

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Sotto l’installazione c’è una sedia, e il pubblico viene invitato a prendervi posto. L’utente percepisce la sensazione del rischio continuo, stato ormai abituale per chi vive nelle zone presidiate dai droni.

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È un progetto di visualizzazione dati che, nella sua semplicità, riesce a rendere visibile l’invisibile e apre uno spazio di riflessione tra guerra, tecnologia e impatti sociali.

I dati provengono dall’analisi incessante condotta fin dal 1999 dal Bureau of Investigative Journalism.

L’Artificial Killing Machine è stata concepita e realizzata da Jonathan Fletcher Moore (idea, progettazione, elettronica, meccanica e assemblaggio) e Fabio Piparo (programmazione e dati), con la collaborazione di Josh Begley, Roni Levi, Katherine Loi, Jay Yao, Alex Garcia, Kurt Kaminski e Glen Laiso.

Se vi interessa sapere come è stata costruita, trovate i dettagli qui.

Se foste interessati a ospitarla, potete contattare gli autori all’indirizzo mail@polygonfuture.com.

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