Racconto: Telephone Divide

Racconto: Telephone Divide

Minnesota, inizio 1900

Papà mi chiama con la sua voce forte. Mi chiedo cosa voglia: darmi nuovi lavoretti o strigliarmi per bene? Jenny ha fatto la spia? Lo vedo che si veste per la città, le bretelle dondolanti ai fianchi e una rapida lavata alla faccia e alle mani prima di indossare la camicia pulita.
«Va’ ad attaccare il cavallo», mi intima con quel suo tono basso che non ammette repliche.
Mi fermo un attimo pensando al perché vada in città oggi: non è giorno di mercato e non è nemmeno domenica, altrimenti saremmo tutti lustri e in fila per andare alla funzione.
Mi vede esitare. Tremo all’idea che se la prenda per i miei tentennamenti.
«Se hai finito di sbrigare i tuoi lavori, puoi accompagnarmi». A quelle parole, mi blocco del tutto: andare con lui? Davvero me l’ha offerto? Riscuotendomi in fretta, volo a prepararmi. La prospettiva di un giro in città mi mette le ali ai piedi.
«Non si corre in casa!», urla mamma. Lei e Jenny stanno mondando la verdura per la cena. So che in questo momento mia sorella mi invidia a morte, ma nemmeno i suoi occhioni riusciranno a convincere mamma o papà a lasciarla venire con noi. E infatti… «Non ci provare, signorina, e vai avanti a pulire la verdura, che i pasti non si preparano da soli!».
Jenny è in punizione perché ieri non ha rinchiuso le galline nel pollaio. Ci abbiamo messo una vita a riacciuffarle dai rami bassi degli alberi su cui si erano rifugiate per la notte. Mia sorella ha continuato a proclamare la sua innocenza, ma non le hanno creduto. Io sono stato zitto. Potrei avere la mia parte di colpa. Nel pomeriggio ero andato a vedere i pulcini, e sinceramente, non ricordo se dopo ho tirato bene il chiavistello. Secondo me, Jenny ha intuito il mio dubbio ma ha preferito tenersi la blanda punizione per avere un credito nei miei confronti.
Comunque, per ora, non mi interessa cosa pretenderà come pegno. Mi cambio in fretta («Sì, mamma, ho lavato mani e faccia») e salto a cassetta, di fianco a papà. Una sferzata delle redini e siamo in moto. Lascio che il carro acquisti un po’ di velocità, godendomi il solletico del vento e il tepore del sole che mi asciugano il viso ancora umido. Faccio vagare lo sguardo sulla terra che nonno Mahlersson ha reclamato diversi anni fa, dopo essere emigrato dalla Norvegia. Centosessanta acri che hanno fatto la fortuna della famiglia grazie al duro lavoro e all’abilità del clan nel commercio del legname. Alla morte del nonno, papà ha tenuto la terra, zio Ralf la segheria e zio Johan l’emporio.

First Homestead in USA«Dove andiamo?», chiedo tornando al presente.
«Saloon. Poi emporio e segheria», risponde papà, da sempre uomo di poche parole. Se voglio altri dettagli, me li devo guadagnare.
«Come mai al saloon?», chiedo, dando per scontato che alla segheria e all’emporio dovremo recuperare del materiale che ha ordinato ai fratelli.
«Per il telefono».
Il telefono? Adesso cosa c’entra il telefono? A meno che Graham Bell non abbia finalmente deciso di tirare i suoi fili sino alle fattorie, non so cosa potremmo fare di nuovo. È pur vero che i fratelli Mahlersson non sono tipi da stare con le braccia incrociate ad aspettare che un riccone decida di portare il telefono fino alle loro case. Quando, due mesi fa, è stato possibile avere questa magia in città, zio Johan si è abbonato subito alla AT&T Long Lines, e tutti e tre i fratelli si sono messi ad annusare la novità studiandone il funzionamento. Zio Ralf l’ha anche smontato, mentre l’emporio si riempiva delle urla della cognata. Poi, non appena gli apparecchi telefonici sono stati messi in vendita, i Mahlersson si sono precipitati subito ad acquistarne uno a testa.
Al saloon, tra il tintinnare dei bicchieri, tutti hanno iniziato a chiedersi come acciderba li avrebbero usati, senza la linea. Ne è nata una scommessa, e papà e gli zii hanno vinto alla grande (non avevo dubbi, non scommettono mai senza la certezza del risultato).
Due settimane fa, dall’emporio, zio Johan ha parlato contemporaneamente con Ralf (alla segheria!) e con mio padre (alla fattoria!), alla presenza del pastore in veste di giudice. Da casa riuscivo a sentire commenti pieni di meraviglia inframmezzati da insistenti richieste di spiegazioni, ma i fratelli hanno mantenuto un certo riserbo. Alimentando invidie e rispetto, hanno preso a usare con regolarità i rispettivi apparecchi dopo aver stabilito alcune regole. Ad esempio, un sistema di trilli indica chi è il destinatario della telefonata mentre un unico trillo lungo avvisa che il messaggio è per tutti. È l’unico segnale che consente a me, e ai miei cugini più grandi, di sollevare la preziosa cornetta. Lo usiamo per le emergenze, come quella volta che mio cugino Olaf si è perso nel bosco e siamo andati tutti a cercarlo.
«Ma cosa c’entra il saloon?», chiedo perplesso, incapace di trattenermi anche se non sono sicuro che sia la domanda corretta.
Papà trae un grosso respiro, come fa quando prende tempo prima di una spiegazione che ritiene inutile.
«Andiamo a prendere tutte le bottiglie vuote che hanno».

E quindi???

Speravo in una frase più chiara, o almeno più lunga. Probabilmente sul viso mi si legge lo sconcerto più assoluto, perché si decide a spiegarsi meglio. Voltandosi, mi fissa con i suoi occhi azzurri.
«Tu hai capito cosa usiamo come linea telefonica, vero?», mi chiede con il tono di chi si augura con tutto il cuore che il sangue del suo sangue non lo deluda.
«Sì, papà! Usiamo il filo spinato che corre tutto intorno alla nostra proprietà, raggiunge la segheria e arriva fino al retro dell’emporio». Vorrei aggiungere che l’avrebbe capito anche il nostro asino, con tutto l’attorciglia-tira-stringi che abbiamo fatto nelle scorse settimane, ma preferisco godermi la sua espressione soddisfatta.

Calero County Park photo
Bird on barbed wire fence – photo by donjd2

«E ti ricordi in quali occasioni il telefono non ha funzionato?», insiste.
Gli snocciolo i vari casi: «Quando il toro ha sfondato il recinto, quando è caduto quel grosso ramo vicino alla segheria per il forte vento, quando ha piovuto a dirotto… ah, e durante i temporali è tutto un crepitare! Ti ricordi che Jenny si è messa a piangere dallo spavento?».
Mi guarda con un sorriso, apprezzando che abbia fatto caso a questi eventi e li abbia associati tra di loro.
«Esatto. Ora, per i casi in cui il filo viene spezzato, dal toro o da un ramo, non possiamo fare molto. Però possiamo almeno isolarlo nei punti in cui rischia di fare contatto con il terreno, che sia perché il palo si inzuppa oppure perché si sono aperte le cateratte divine».
Lo fisso, curioso di sapere cosa hanno escogitato i fratelli Mahlersson per risolvere il problema.
«Il vetro è uno dei migliori isolanti, e il saloon ne ha in abbondanza». Riporta lo sguardo sulla strada, per sottolineare che il discorso è finito.
Accidenti, nuovo lavoro agli steccati, tra filo spinato e bottiglie rotte! Questo pensiero e la polvere mi hanno seccato la gola. Spero che al saloon papà mi offra da bere.
Mentre riporto anch’io lo sguardo sulla strada, inizio a intravedere i primi movimenti della città.

Stromberg Carlson 1916 Farm Line Telephones

5 Replies to “Racconto: Telephone Divide”

  1. Ferruccio, osando, potremmo dire che quello che è stato pensato per dividere (il filo spinato) in realtà è un mezzo per unire (linea telefonica rudimentale). in un momento di grandi divisioni come questo è sicuramente osare tanto, ma nel sogno (ed auspicio) di tutti noi anche un muro può diventare un ponte.
    Grazie.

    1. Non solo, il telefono costruito in quel modo non aveva centraline e linee dedicate. Chiunque poteva parlare e, soprattutto, ascoltare. Ci sono testimonianze dell’uso come strumento comunitario, un ritrovo serale nel quale confluivano canzoni, racconti e “bollettino” delle novità.
      Il tutto nato dalla voglia di comunicare, dalla capacità di inventare, dalla mancanza di un bacino sufficiente ad attirare la nascente industria telefonica (AT&T) e da un brevetto scaduto.

      Tra l’altro, riprendendo la tua metafora, ti segnalo questo post http://fmanclossi.com/index.php/2015/10/23/lanciate-dei-palloni-oltre-i-muri/

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